La Piccola Gerusalemme.
È questo l’appellativo che Pitigliano, il paese posto al centro della Zona dei Tufi in Maremma, si è guadagnato per avere garantito la convivenza pacifica con la comunità ebraica, qua insediatasi fin dalla seconda metà del 1500.
Fu infatti tra il 1555 ed il 1569 che Papa Paolo IV limitò, con l’emissione di alcune bolle papali, la libertà del popolo ebraica all’interno dello Stato della Chiesa; ciò comportò la fuga degli ebrei verso i territori confinanti e, proprio a Pitigliano, si venne ad insediare una importante comunità ebraica.
Fin da subito tra la popolazione locale e i nuovi arrivati ci fu una pacifica integrazione, tanto da far sorgere un quartiere ebraico, all’interno del quale 1598 fu edificata una Sinagoga.
Ma già nei primi anni del 1600 anche nel Granducato di Toscana iniziarono le limitazioni nei confronti del popolo ebraico: in quel periodo Cosimo II dei Medici emanò un editto in questo senso che coinvolse anche la popolazione ebraica di Pitigliano, cittadina che proprio in quel periodo venne annessa al dominio mediceo.
L’ordine era quello di trasferire tutti gli ebrei all’interno del Ghetto di Pitigliano: per questo motivo le milizie ducali si recarono nelle abitazioni delle famiglie di religione ebraica e, battendo sulla porta con un bastone, imponevano di fatto il loro sfratto da quelle case.
Ed è qui che interviene il tipico atteggiamento autoironico che il popolo ebraico ha da sempre avuto nei confronti delle avversità e delle sciagure: un secolo dopo gli ebrei realizzarono un dolce che doveva ricordare l’evento e scongiurare il suo ripetersi.
Un dolce che nella forma, il bastone, doveva riprodurre il simbolo di quella cacciata e nel nome, Sfratto dei Goym (cioè i Gentili, “coloro che non sono ebrei”), ricordasse per sempre il triste evento.
Un dolce che veniva confezionato e consumato nelle celebrazioni del Capodanno religioso ebraico, Rosh Hashanà, come auspicio di prosperità per il nuovo anno.
Ma, proprio per la convivenza serena tra le due diverse comunità religiose da sempre esistita a Pitigliano, ben presto il dolce venne adottato dai cosiddetti Gentili: dapprima come regalo in occasione dei matrimoni per augurare armonia all’interno della coppia, per diventare successivamente un tipico dolce del periodo natalizio.
Lo sfratto ha forma allungata simile appunto a un bastone e presenta una sottile sfoglia esterna che fa da involucro, fatta con farina, vino bianco, olio EVO, zucchero, acqua e sale; il ripieno è composto da miele, gherigli di noci, pangrattato, scorza di arancia candita o grattata, anice, cannella, noce moscata e pepe nero.
Una volta cotto e lasciato raffreddare, si serve tagliato a rondelle spesse: il sapore è piacevolmente dolce e il profumo è intenso e aromatico; trova un ottimo abbinamento con Vinsanto o Marsala.
Oltre ad essere un dolce natalizio prodotto per tradizione in famiglia, viene confezionato dalla totalità dei forni presenti in Pitigliano, dove è possibile trovarlo in qualsiasi periodo dell’anno.
Lo Sfratto Pitiglianese è riconosciuto Presidio Slow Food da molti anni, con l’intento di valorizzare la contaminazione fra la cucina ebraica e quella maremmana.