Eravamo già stati a Pitigliano un paio di volte, sempre invitati da Emanuele e la sua compagna Tiziana: la prima era una calda giornata di Luglio e, quando arrivammo nel primo pomeriggio, trovammo il paese apparentemente disabitato, una sorta di pigrizia calma che quasi ci sconvolse, talmente abituati al quotidiano caos della città.
Da allora, quando penso a Pitigliano, rivedo davanti agli occhi la maestosa sagoma del centro storico che ti trovi all’improvviso di fronte, percorrendo la strada che viene dal mare: continuo a chiedermi per quale magia quelle case riescano a rimanere arrampicate su quello scoglio di tufo.
Le abitazioni e il masso tufaceo quasi fusi in un’unica cosa: proprio così, visto che questo piccolo paese della Maremma Grossetana viene anche denominato la Città del Tufo.
La seconda volta rimanemmo a Pitigliano un paio di giorni, era un fine settimana di Maggio, un periodo bellissimo per vedere il paese circondato da una rigogliosa verde campagna.
Ma a Settembre non ero mai stato; fu un sms di Emanuele a ricordarmi della famosa ‘Festa delle cantinelle’, il ‘Settembre DiVino’, di cui me ne aveva parlato con molto entusiasmo.
Più che una festa me la aveva descritta come una sorta di kermesse che inizia il giovedì che precede la prima domenica di Settembre: un appuntamento diventato ormai tradizione, che aveva le sue radici in una festa più popolare che si svolgeva qualche decennio fa, un evento nato per celebrare l’inizio della vendemmia in un paese che ha fatto della coltura della vite (e della cultura del vino!) un tratto fondamentale della sua millenaria storia.
Certo che con lo scorrere dei decenni la festa è cambiata, si è adattata a quelle che sono le esigenze più attuali e, più che altro, alle generazioni di oggi, quelle più giovani, che sono diventate il vero motore dell’iniziativa.
Così negli anni, quella che poteva essere la classica festa dell’uva di una volta, con la mescita fatta nelle storiche cantine accompagnata da uno scarno companatico, oggi diventa una manifestazione con mille sfaccettature, non solo enogastronomiche, ma anche di intrattenimento culturale, artistico e musicale.
“Che ne pensi di un fine settimana a Pitigliano: c’è la festa delle cantine.” fu la semplice domanda che feci a Claudia la mia compagna: non ci siamo stati a pensarci tanto su e così siamo qui e, già a prima vista, non è il Pitigliano che avevo visto le altre volte, con l’aria di festa che si avverte ancora prima di entrare in paese, con le file delle auto parcheggiate lungo le principali vie di accesso.
Nonostante arriviamo nel tardo pomeriggio il centro storico è già stravolto dalle centinaia di persone che affollano la piazza principale e gli stretti vicoli: un Pitigliano che non riconosco e che ricordavo tranquillo e poco frequentato.
Incontriamo Emanuele proprio sulla piazza, che subito ci accoglie con il suo tipico intercalare maremmano: “Ehilà, ce l’avete fatta! Sarà il caso di avviarci subito a prendere posto. Rischiamo di rimanere a bocca asciutta!”
Ci avviamo all’ingresso della parte più antica del paese e si capisce subito che aria tira: in una specie di ‘desk’ di benvenuto, praticamente una fila di piccole botti usate come tavolini, propongono di acquistare il bicchiere-ricordo, strumento indispensabile per far fronte a quella che si preannuncia una lunga serata di degustazioni.
Mentre ci avviamo alla cantina, Emanuele mi spiega che le dieci cantine aperte per la festa sono gestite da gruppi di pitiglianesi più o meno giovani; le cantine non sono tutte uguali, ognuna ha un proprio nome e un allestimento caratteristico, con tanto di scenografia a tema: al termine della manifestazione il comitato organizzatore premierà quella più originale e meglio organizzata.
Ci addentriamo nei vicoli del centro storico quando è quasi buio, fino ad imboccare una scalinata a tratti stretta che ci porta in un ampio terrazzo che affaccia a strapiombo sul masso di tufo.
Qua il colpo d’occhio è quasi stridente, con le pareti delle alte case in tufo da una parte, il buio della vallata dall’altra, mentre lo spazio è riempito da una serie di tavoli allineati e già in buona parte occupati, illuminati con lunghe file di led, mentre sullo fondo un grande braciere fuma sotto il controllo di chi è addetto ad arrostire la carne.
Il nome della cantina è tutto un programma: ‘Pistoni Roventi’.
Dopo aver trovato il posto a un tavolo e fatto l’ordinazione Emanuele mi spiega: “E’ il gruppo dei patiti dei motori, motociclisti in particolare, ma c’è anche un pilota d’aerei, quelli grossi!”
Inconfondibili, ragazzi e più adulti, con tanto di bandana a scacchi bianchi e neri, le ragazze con minigonna anche quella a scacchi che, a ritmo di un buon rock nostrano che esce dalle casse a discreto volume, si muovono tra i tavoli per servire i piatti richiesti, o al banco della mescita in un continuo via vai di bottiglie.
Anche se spartana, la cena è tradizionale, e non può che iniziare con il classico crostino alla maremmana, in cui il sapore un po’ aspro della crema della milza e dei fegatini si spegne con il pane appena tostato: un abbinamento semplice ma di effetto, con la sapidità del condimento a base di frattaglie che si smorza con la delicata dolcezza del pane casareccio rigorosamente sciapo, lasciando in bocca quel retrogusto un po’ amaro.
La scelta del vino cade sul rosso locale, anche se Pitigliano è conosciuta come la patria del bianco, avendo ricevuto il riconoscimento della DOC tra le prime in Italia, qualche decennio fa.
Emanuele ci consiglia un Rosso di Sovana, anche questa una DOC locale riconosciuta da qualche anno: ottima scelta, un rosso toscano a base di sangiovese con aggiunta di ciliegiolo, un bel rosso porpora, con profumo fruttato e di liquirizia, un sapore deciso e caldo, poco tannico, che persiste nel palato.
In breve tempo arriva la grigliata mista, piatto forte della festa, vista anche la facilità con cui si trova da queste parti la carne di maiale di ottima qualità: una grigliata ben cotta sulla brace di carbonella, con salsiccia, pancetta, rosticciana e bistecca.
La cottura conserva la carne tenera, con il grasso dolciastro mentre le parti più cotte sono saporite al punto giusto; il contorno di fagioli all’uccelletta completa degnamente la pietanza.
Nel bel mezzo della degustazione della grigliata, la musica viene interrotta da una voce che annuncia il momento che in molti aspettavano, il rombo del motore.
Così, sopra un piccolo terrazzino un po’ distanziato dai tavoli, viene acceso un vero motore di automobile lì piazzato, il cui tubo di scappamento è formato da una serie di coni che si proiettano sulla valle sottostante: da una parte il rumore che diventa quasi assordante al momento della sgassata, dall’altra l’uscita di vere e proprie lingue di fuoco dai coni, creano una scena unica che non ti saresti mai aspettato di vedere.
Il tutto dura una decina di minuti ma coinvolge tutti i presenti, trascinati anche dall’eccitata voce dello speaker che esorta, alla fine, ad acclamare il motorista, nonché ideatore, costruttore e interprete della piece motoristica, vero artista della serata.
‘Balliamo sul mondo, va bene qualsiasi musica…’ riprendono subito dopo a suonare a tutto volume le casse, riscaldando il clima già ‘rovente’, con molti dei presenti che cominciano a muoversi a ritmo di rock.
Decidiamo di alzarci alla fine del piatto anche se un po’ di controvoglia, visto che l’atmosfera calda di questa cantina è molto coinvolgente: ma l’intenzione è quella di visitare le altre cantinelle.
Con difficoltà, per la gran folla, risaliamo le scale che ci portano sulla via principale, la via del Ghetto, così chiamata per la presenza nei secoli passati di un importante insediamento ebraico, le cui vestigia si possono ancora apprezzare nella zona intorno alla sinagoga.
Proseguendo raggiungiamo prima la cantina della ‘Tribù del vino’ e, di lì a poco, la ‘Mondiale’ con una serie di tavoli disposti lungo la via, ovviamente tutti affollati da ospiti molto allegri; qui una sosta obbligata, in quanto la strada stretta non permette di andare oltre per la presenza di una street band di percussionisti: ci gustiamo pertanto questa piacevole sosta musicale, ovviamente accompagnata da un altro bicchiere di rosso preso al volo al banco della mescita.
Più avanti la cantina ‘Imperiale’; ci dirigiamo verso un altro ampio terrazzo che affaccia sul masso tufaceo e ci troviamo in una scenografia che ci riporta all’antica Roma, con una serie di archi che simula una porzione di acquedotto, tronchi di colonne e manichini vestiti con tuniche della Roma imperiale.
Al centro una serie di tavoli affollatissimi, e una colonna sonora di sottofondo con musica da discoteca, gestita da un DJ con tanto di apparato professionle: anche qui il colpo d’occhio è particolare e stridente, ma nessuno sembra farci caso, ormai la festa trascina e coinvolge tutto e tutti in una sorta di allegria senza fine.
Proseguiamo per il nostro pellegrinaggio DiVino, e arriviamo nella parte più antica del centro storico dove si apre una piccola piazzetta, anche questa addobbata e piena di tavoli: il nome di questa cantina è tutto un programma, ‘La Sbornia’ e, a vedere la maggior parte dei presenti, sembra che l’effetto sia assicurato.
Una nuova sosta alla mescita, questa volta andiamo sul bianco tipico di Pitigliano, fatto con uve di trebbiano toscano, chardonnay e sauvignon; di un bel giallo paglierino, un profumo di frutta gialla, un sapore asciutto, lievemente acido, con retrogusto lievemente amarognolo.
La scenografia richiama l’ambiente enologico, con enormi bottiglie attaccate alle pareti delle case che circondano la piazzette che si slanciano sui tavoli, mentre più in alto un’enorme mano sorregge un bicchiere a mo’ di brindisi; un gruppo suona dal vivo in una sorta di spettacolo live, che coinvolge nelle esibizioni canore sia i ragazzi della cantinella che gli ospiti: l’atmosfera, anche qui calda, lascia immaginare la qualità delle performance canore!
Siamo già avanti con la serata ed è praticamente impossibile camminare per la folla presente, raggiungendo a fatica la cantina del ‘Serpi Vecchi’, dove i ragazzi vestono in verde militare: qua un’altra simpatica esibizione, dove su un piccolo palco improvvisato delle ragazze pigiano l’uva a piedi scalzi in un tino, il tutto a ritmo di una assordante tecno.
Andiamo oltre, nella zona della cosiddetta Fratta e, lungo la via, incontriamo i bracieri bollenti e fumanti della cantina del ‘Ciclista’, ovviamente condotta dall’omonimo gruppo sportivo pitiglianese; subito dopo la solita stesa di tavoli affollati e un palco su cui un gruppo propone un repertorio anni ’60 e ‘70, mentre in diversi si lanciano in una sorta di mischia del ballo, nell’angusto spazio sotto il palco.
“Ciao Giacomo!” strilla nella confusione più totale Emanuele rivolto a un signore sulla cinquantina, che subito dopo abbraccia calorosamente; si dicono qualche cosa che ovviamente è impossibile udire anche se siamo a poca distanza.
Dopo il breve dialogo si avvicinano e, nel presentarci Giacomo, Emanuele ci dice: Su andiamo a vedere una delle più belle cantine di Pitigliano!”
Fortunatamente l’ingresso della cantina è lì a pochi passi: una piccola porticina che sia apre su una ripida scalinata, scesa la quale ci si trova in una ampia stanza completamente scavata nel tufo, da cui si aprono altri passaggi, uno dei quali presenta un’altra scala che scende ulteriormente.
Emanuele ci fa cenno di seguirlo, e scendiamo lungo una scala completamente intagliata nel tufo, abbastanza scoscesa, lunga almeno una ventina di metri, ai cui lati si aprono delle nicchie al cui interno può stare comodamente in piedi una persona; la temperatura, man mano che si scende, si riduce fino ad avvertire un senso di freddo.
In fondo alla scala si apre un’ampia sala, le cui pareti appaiono finemente scalpellinate, a riprova del fatto che anch’essa è stata completamente scavata a mano: sul lato destro della camera dei rialzi sempre di tufo supportano le botti, mentre file di bottiglie sono coricate diligentemente sul lato sinistro, sempre su un rialzo di tufo.
L’ambiente ha un non so che di solenne, quasi sacro: sarà il silenzio che ci ha improvvisamente inghiottito, il fresco quasi pungente, il senso di staticità temporale emanato dal vino che è lì a riposare, ma sembra proprio di essere entrati in un luogo consacrato, una sorta di cattedrale che, sia per forma architettonica che per la sua funzione, si potrebbe definire ‘capovolta’!
Claudia ed io rimaniamo impressionati da questa vista e non ci aspettavamo che Pitigliano riservasse, anche nelle sue viscere, il fascino che ti conquista quando lo vedi da fuori: una vera e propria attrazione marcata anche dalla percezione di antico che, inevitabilmente, quegli ambienti secolari portano con sé.
Ancora un po’ frastornati salutiamo e ringraziamo Giacomo della visita, ritornando nel vortice della festa.
Procedendo per la via arriviamo alla cantina di ‘San Giuseppe’ dove, approfittando di qualche posto che si era liberato in un tavolo, decidiamo di fare sosta: l’atmosfera è tipicamente paesana, anche per la presenza della coppia che è deputata all’intrattenimento musicale, lei cantante e lui suonatore di fisarmonica.
Qui i valzer e le polche si sprecano, a tutto vantaggio degli avventori un po’ più attempati rispetto alle altre cantine.
“Che ne direste di un assaggio di baccalà?” ci chiede avvicinandosi un addetto ai tavoli della cantina.
Considerata l’ora e la stanchezza, si era riacceso un certo languorino; così ci facciamo tentare dal baccalà in umido che si rivela un’ottima scelta: una polpa, tenerissima, non eccessivamente sapida, in contrasto con la delicata acidità del sugo di pomodoro.
Risulta azzeccato anche l’abbinamento ad un vermentino di produzione locale, che si presenta con un intenso profumo di fiori bianchi, vivace e persistente al gusto.
Anche questa sosta risulta piacevole con la notte che scivola nel clamore della festa; ci concediamo anche il dessert: tozzetti e vin santo ci sembra la scelta obbligata, oltre all’assaggio del dolce tipico pitiglianese, lo ‘sfratto’, che richiama i sapori decisi dei dolci rinascimentali a base di noci, miele e cacao.
Riprendiamo la strada della festa che ci porta sulla più ampia piazza della Cattedrale, dove alla cantina di ‘Pantalla’ si balla rigorosamente il liscio e le danze di gruppo: anche qui un pubblico meno giovane ma molto partecipe affolla la piazza, per metà trasformata in balera.
Ci avviamo lungo il corso per tornare alla piazza principale, dove ancora una moltitudine di persone è in attesa dello spettacolo musicale che inizia all’una di notte, di lì a poco.
Così, mentre lo spettacolo inizia, ci sediamo al tavolo di un bar che si affaccia sulla vallata che guarda a ponente, dalla parte opposta della piazza, un po’ stanchi ma molto soddisfatti, comunque sazi non solo di buon cibo e di buon vino, ma anche di tutte le sorprese che la serata ci ha offerto.
Aveva ragione Emanuele, non è una semplice festa di paese, ma una vera e propria kermesse che coinvolge il visitatore non solo dal punto di vista enogastronomico, ma anche da quello storico, architettonico e folcloristico, riuscendo a mostrare il vero volto accogliente di questo affascinante borgo.
E mentre gli altri commentano gli eventi della serata, mi viene spontanea la domanda: “Emanuele, ma l’anno prossimo in che giorni ci saranno le cantinelle?”